Totò, Fabrizi e la cucina di D’Angelo

Totò, Fabrizi e la cucina di D’Angelo

In di D'Angelo Santa Caterina

Cosa porta un romano doc, in un tempio della cucina napoletana come D’Angelo Santa Caterina? Naturalmente l’amore per la buona tavola! E quello certo non mancava ad Aldo Fabrizi. Ad istruirlo sui segreti della tradizione partenopea del resto, l’attore aveva avuto un maestro d’eccezione : il principe della risata Antonio de Curtis. Qui vi raccontiamo l’esperienza tra i tavoli di D’Angelo di uno dei più grandi comici italiani.

Siamo all’altezza del sole d’oro e dell’aria profumata. Speriamo che Dio ce la mandi buona! (la pasta)

Questa la dedica di un Fabrizi molto affamato in attesa del suo primo piatto tra i tavoli di via Aniello Falcone. La dedica che ormai ha più di 50 anni, è conservata nel libro degli ospiti di D’Angelo Santa Caterina.

Ed in effetti i maccheroni, conditi in tutte le salse, spesso elaborate anche più del dovuto erano il piatto preferito di questo artista a tutto tondo, anche nel senso fisico del termine.

Tra gli anni 50 e 60 Fabrizi interpretò parecchi film al fianco di Totò, che da grande amante della tavola cercò di correggere l’amico, sugli errori più comuni in cucina.

Tra un Guardie e ladri e un Totò Fabrizi e i giovani d’oggi, l’attore romano ebbe tutto il tempo, quindi accanto al suo pigmalione di sperimentare i migliori ristoranti partenopei. D’Angelo Santa Caterina, del resto proprio a partire dagli anni 50 divenne il centro della dolce vita partenopea

La pasta per esempio, era la grande querelle tra Totò e Fabrizi. “Troppo scotta quella alla romana, meglio al dente: come si usa a Napoli” Questo il verdetto del Principe della risata come si legge in “Fegato qua fegato là, pesce fritto e baccalà”, l’autobiografia gastronomica del padre, scritta da Liliana De Curtis.

E la questione deve aver portato i suoi frutti. Attore regista, ma anche poeta, Fabrizi di fatto nel 71, dedicò un’intera raccolta proprio alla Pasta Asciutta con tanto di ricette e aneddoti sul suo piatto preferito. E a 10 anni dall’intensa stagione partenopea, in una delle poesie che si intitola proprio La cottura si legge Poi dopo un po’ si assaggia: ancora un poco; appena è cotta, ancora bella dura si toglie e se ne ferma la cottura”.

Un testo quindi che segna la “conversione”alla cottura al dente. A noi piace immaginare che questo cambio di prospettiva sia frutto degli assaggi napoletani, degli scambi bonari con Totò e dei piatti più prelibati della nostra cucina, assaggiati magari proprio sulla terrazza panoramica di D’Angelo.

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